Ottobre 2025 - Ci sono viaggi che si scelgono, e altri che iniziano prima ancora
che tu possa scegliere. Il mio è cominciato così: con una partenza decisa da
altri, in un tempo in cui ancora non conoscevo il significato del distacco.
Dal Sudafrica, la
terra dove ero nata, mi sono ritrovata in Italia — a Bologna — e poi, anni
dopo, tra le colline dell’Appennino.
Non è stato un
arrivo semplice. Lasciare ciò che si conosce — la luce, gli odori, le voci — è
una frattura silenziosa che resta impressa nell’anima. Col tempo ho imparato a
chiamare quel passaggio “trasferimento”, “adattamento”, “nuova vita”. Ma in verità,
era una nostalgia che chiedeva solo di essere ascoltata.
Vivere sull’Appennino mi ha insegnato la lingua del silenzio. Con
gli anni ho smesso di oppormi a questa terra e ho iniziato a camminarla. Ho
imparato a riconoscere la bellezza che non cerca di piacere, la bellezza che
resta anche quando nessuno la guarda. I boschi, la nebbia, le stagioni che
cambiano lentamente — tutto qui sembra ricordarti che la vita non chiede di
essere capita, ma accolta.
Il Sudafrica mi aveva dato l’immensità, la luce aperta, il senso
di spazio. L’Appennino mi ha insegnato la profondità, il ritmo lento, la misura
delle piccole cose. Là c’era il sole che bruciava; qui c’è la fiamma che scava.
Due estremi che, a distanza di anni, ho imparato a non separare più.
Scrivere, per me, è diventato il modo di unire queste due terre —
quella esteriore e quella interiore.
Ogni parola è un
ponte: tra chi ha dovuto lasciare e chi ha imparato a restare. Ogni pagina è un
luogo di riconciliazione, dove la ferita smette di essere colpa e diventa
radice.
Ci vuole tempo per amare i luoghi in cui si arriva. A volte ci
vuole una vita per far pace con ciò che ci ha feriti. Ma un giorno ti accorgi
che proprio lì, dove credevi di essere stata strappata, hai messo radici più
profonde.
Oggi non vedo più il mio percorso come un esilio, ma come un
ritorno lento a qualcosa di più grande.
L’Africa vive nella
mia memoria come una vibrazione di luce. L’Italia, e queste montagne, mi hanno
insegnato l’arte della presenza — l’amore che non deve più fuggire.
Forse la vita intera è questo: imparare ad abitare il luogo dove
ci si trova, finché diventa casa.
Capire che ogni terra, anche quella che ci ha accolti con dolore, custodisce
una parte della nostra verità.
E quando finalmente la riconosci, ti rendi conto che non hai più
bisogno di fuggire da niente —
perché ogni viaggio, anche quello cominciato senza scelta, alla fine conduce
sempre nello stesso posto:
dentro di
sé.
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